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Documenti. Una lettera del 2015
Memoria cancellata del Cardinale "malatestiano"
Le pochissime notizie su Galeotto Tarlati di Pietramala (1356-1398), Cardinale "malatestiano" (per via della madre, la riminese Rengarda), giunte sino a noi attraverso Luigi Tonini, non raccontano nulla del personaggio ma lasciano intravedere tanto sulla sua rimozione dalla memoria storica.
Galeotto, nominato a 22 anni nel 1378, passa attraverso momenti drammatici della vita della Chiesa, quando Papa Urbano VI fa uccidere un Vescovo (1385) e cinque Cardinali (1386), preparando quel clima di intolleranza che sfocia nei roghi "conciliari" di Costanza per ammazzare Giovanni Huss (1415) e Girolamo da Praga (1416).
Galeotto di Pietramala, dotto umanista, fu coraggioso uomo di Chiesa, capace di proporre nel 1395, con una celebre lettera, la via di risoluzione dei contrasti tra Roma ed Avignone, facendo dimettere il Pontefice di quest'ultima città dove lui stesso si era rifugiato. In tutt'Europa egli diventa una figura rispettata per la sua capacità di studiare e dibattere temi culturali e questioni teologiche, come documentano numerosi volumi.
Consono allo spirito di Galeotto da Pietramala (morto a Vienne nel Delfinato, e poi sepolto alla Verna) , è il Tempio di Sigismondo Pandolfo, suo cugino, dove si realizzano i progetti albertiani di un "umanesimo civile", che si leggono nella Cappella delle Arti liberali, il cui scopo principale è educare alla "polis", creando Concordia tra i cittadini, ai quali tocca di costruire la "Città giusta" con leggi per formare persone moralmente integre. Non è soltanto l'antica lezione platonica, ma pure quella che a Bologna, in quell'Università attorno al 1430, delinea Lapo di Castiglionchio, come Ezio Raimondi scriveva nel 1956.
Antonio Montanari
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Sigismondo non ebbe infanzia, scrive Charles Yriarte (1832-1898) in un celebre saggio, "Un condottière au XVe siècle" (Parigi 1882), richiamando l'episodio del 1430 quando il Nostro (per difendere il territorio governato da Galeotto Roberto, figlio di suo padre Pandolfo III e di Allegra de' Mori), "rivestì l'armatura fatta a sua taglia, montò a cavallo, e fu un vero combattente" battendo le truppe papali.
Come tutti i nati da re, principi o duchi, Sigismondo eredita oltre ai beni materiali anche quelli intellettuali e "politici" della famiglia e del tempo. Allora c'era uno spirito di perenne competizione, derivante dalla crisi dell'Italia frammentata per la carenza di una forza capace di guidare un processo unitario per potenza finanziaria, economica e militare (F. Gaeta, 2012).
Yriarte parla di una disperazione diffusa. Sono tempi di anarchia profonda, generati da una lunga e persistente confusione tra urbanizzazione nascente e barbarie passata. Trionfa un individualismo che provoca un'estrema licenza da cui nasce l'estrema tirannia. "Le signorie esercitavarono un'azione politicamente diseducativa a tutti i livelli, anche se promossero le arti e la letteratura al servizio della corte" (G. Fasoli, 1975).
I capi delle Signorie dovevano fare i conti pure con le competenze comunali per magistrature ed uffici, e con la nascente struttura democratica (B. Andreolli, 1999), anche se prevale la scelta di "funzionari eletti dal signore tra i suoi fedeli" (Fasoli).
Venti di rivolta soffiano nella vita religiosa e politica. La repressione è terribile. Sigismondo ha un cugino cardinale, Galeotto, nato da Rengarda, sorella di suo padre, e da Masio Tarlati. Nominato a 22 anni nel 1378 su suggerimento del nonno Galeotto I, nel 1386 Galeotto, quando il Papa Urbano VI fa uccidere cinque cardinali (dopo aver ammazzato l'anno prima il vescovo dell'Aquila), fugge in quell'Avignone da Petrarca definita luogo di corruzione, in cui Satana sedeva "arbitro tre le ragazze e quei vecchi decrepiti". Vi resta sino al 1397 quando scappa perché privato dei suoi redditi, recandosi prima a Valence e poi a Vienne, dove muore l'8 febbraio 1398.
L'attacco a Galeotto nell'ambiente avignonese va di pari passo all'ascesa politica dei Malatesti nel mondo pontificio romano: nel 1397 Pandolfo III è nominato comandante supremo delle armi della Chiesa.
Sigismondo conosce queste vicende, sa che i suoi antenati nella Chiesa sono stati forti ed ascoltati mediatori politici.
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Brescia, ottobre 1418: papa Martino V (Oddone Colonna) arriva presso Pandolfo III Malatesti signore della città. Rientra da Costanza dove è stato eletto l'8 novembre 1417 e dove il 22 aprile ha chiuso il concilio che ha posto fine allo scisma occidentale. Martino V conosce bene i Malatesti. Sua nipote Vittoria Colonna nel 1416 ha sposato Carlo, figlio del signore di Pesaro, Malatesta I. Li apprezza per quello che hanno fatto prima e durante il concilio di Costanza. Ai cui lavori è intervenuto un altro Carlo Malatesti (1368-1429), signore di Rimini e rettore vicario della Romagna dal 1385, come procuratore speciale di Gregorio XII "ad sacram unionem perficendam". Sua moglie è Elisabetta Gonzaga, donna colta e coraggiosa (1363-1432).
Il 24 febbraio 1421 finisce a Brescia la signoria dei Malatesti: Pandolfo III manda a Rimini Sigismondo (nato il 19.6.1417) e Novello (6.4.1418), avuti da Antonia da Barignano. È proprio Elisabetta che a Rimini si prende cura della loro educazione. Pandolfo III muore a 57 anni il 4 ottobre 1427, durante un pellegrinaggio a piedi da Rimini a Loreto. Invocava un po' di salute, dopo le fresche nozze (12 giugno) con una fanciulla, Margherita Anna dei conti Guidi di Poppi.
Defunto Carlo di Rimini (14.9.1429), il ruolo di Elisabetta nella vita di Sigismondo e Novello diventa ancor più fondamentale. Carlo nel 1428 li ha fatti legittimare da Martino V, assieme al loro fratellastro Galeotto Roberto (1411-1432), nato da Allegra dei Mori. Nello stesso 1428 Galeotto ha sposato Margherita d'Este, figlia di Nicolò III signore di Ferrara.
Elisabetta Gonzaga riversa su Galeotto Roberto, Sigismondo e Novello i frutti di una formazione intellettuale e politica di stampo umanistico, maturata nella famiglia d'origine e presso la corte riminese. Sa che la vita non è frutto del caso, ma dell'operare individuale, secondo il pensiero di Leonardo Bruni: il perfezionamento delle persone avviene "ex civili societate", sotto la guida della filosofia.
Bruni nel 1409 era giunto presso Carlo Malatesti, quale segretario pontificio per incontrare papa Gregorio XII ospite del signore di Rimini. Nel "De studiis et litteris" (1422-25), Bruni progetta l'incontro fra la tradizione cristiana e la filosofia greco-romana, con un modello seguìto da Sigismondo nell'ideare il suo tempio.
Di Antonia, trasferitasi in Romagna con quattro fratelli, immaginiamo una silenziosa presenza accanto ai figli sino alla scomparsa di Elisabetta Gonzaga (1432).NOTA. La data della nascita di Elisabetta Gonzaga, si ricava da un documento del 1376, in cui si dice che Elisabetta fu emanicipata dal padre quando aveva 13 anni.
Si veda il proposito il saggio di A. Bellù, «Carlo Malatesti alla corte dei Gonzaga nei documenti d’Archivio 1369-1429», Atti delle Giornate di Studi malatestiani a Mantova, Ghigi, Rimini 1990, p. 6.
Le nozze tra Elisabetta Gonzaga e Carlo Malatesti sono del novembre 1386.
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Estate del 1416. Antonia da Barignano è una ragazzina quando incontra a Brescia Pandolfo III dei Malatesti che ha 46 anni, è vedovo da 18, ed ha un'amante, Allegra de' Mori, pure lei bresciana, che nel 1411 gli ha dato un figlio, Galeotto Roberto, futuro Signore di Rimini (1429-32), morto «con opinione di Santità».
Antonia è sedotta da Pandolfo III che la ingravida di Sigismondo Pandolfo il quale nasce il 19 giugno 1417. Meno di un anno dopo (il 6 aprile 1418), Antonia partorisce Malatesta Novello, futuro Signore di Cesena.
Donna di forte temperamento, anticonformista e decisa, la definisce la prof. Bianca Orlandi, la quale ricorda che Antonia scompare il 20 maggio 1471, sopravvivendo ai figli: Malatesta Novello muore nel 1465, Sigismondo nel 1468.
Intelligente, saggia, concreta, ma anche prudente e sufficientemente docile rispetto alle regole di corte, scrive ancora Orlandi nel volume sulle donne di casa Malatesti, edito nel 2004 da Bruno Ghigi, a cura della prof. Anna Falcioni.
Signore di Rimini, quando nasce Sigismondo, è suo zio Carlo (1368-1429). Nel 1415 un Maestro di Grammatica, Sampierino del fu Bartolino, aveva lasciato per testamento a Carlo una casa. Il nipote di Carlo, Galeotto Roberto Malatesti (il ricordato figlio di Pandolfo III e di Allegra de' Mori), che guida il governo cittadino, il primo luglio 1430 vende la casa di Sampierino per seguire l'intenzione dello zio Carlo, di "volere col prezzo di quella erigere in Rimini una Biblioteca a vantaggio di studenti poveri", come ricorda Luigi Tonini.
Il denaro ricavato dalla vendita della casa, è consegnato da Galeotto Roberto al Vescovo di Rimini Girolamo, con l'incarico (prosegue Tonini) di erogarlo "pro fabrica et in auxilio fabricae Bibliothecae, et Libreriae antedictae" presso il convento di San Francesco.
Nasce così la prima Biblioteca "pubblica" d'Italia (che sarà arricchita dallo stesso Sigismondo), e la prima Biblioteca Malatestiana, essendo quella di Cesena del 1452. Nel 1455 quella di Rimini, scrive Roberto Valturio, possiede già moltissimi libri sacri e profani, e di tutte le migliori discipline. Nel 1475 Valturio scrive nel testamento che tutta la propria biblioteca vada proprio alla "libreria" in San Francesco .
Nel 1619 Alessandro Gambalunga lascia alla città di Rimini sia il palazzo che porta ancora il suo nome sia la Biblioteca posta "nella stanza da basso", che diventa la prima biblioteca "civica" d'Italia.
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Galeotto di Pietramala, cardinale "malatestiano".
Profilo di una crisi. [22.07.2016]Presentazione
1. Da Avignone a Costanza
2. Una nomina, due fughe
3. L'epistola «Ad Romanos»
4. La lezione umanistica di Petrarca
5. Notizie dalle corti
6. I giuochi del potere
7. Notizie italiane
8. La visita a Valence
9. Vienne, 8 febbraio 1398
10. Vecchio mondo, nuove idee
11. Il ricordo di Cola di Rienzo
Documenti e note
Bibliografia generale
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