• La lezione umanistica di Petrarca

    4. La lezione umanistica di Petrarca
    L'Umanesimo a cui guarda Galeotto è ispirato alla lezione di Francesco Petrarca. Il quale, in una lettera del 1368 a Urbano V, per esaltare il primato della cultura letteraria italiana, aveva affermato «oratores et poetae extra Italiam non quaerantur».
    La frase suscita in Francia forti polemiche. Tra il 1369 e il 1372 l'autorevole teologo dello Studio parigino Jean de Hesdin (1320-1412) compone e diffonde l'epistola «Contra Franciscum Petrarcam», consegnata all'umanista italiano soltanto nei primi giorni di gennaio 1373.
    Il 1° marzo dello stesso anno è datata da Padova la risposta-invettiva di Petrarca («Invectiva contra eum qui maledixit Italiae»).
    Dopo la morte di Petrarca (1374), il grande Scisma accentua, anche sul piano politico, la rivalità Italia-Francia, e la querelle intorno alla frase dell'umanista italiano riprende, trasformata in un topos propagandistico.
    Il momento culminante della querelle è nel breve carteggio fra Nicolas de Clamanges ed il nostro Galeotto, carteggio in parte risalente alla fine del 1394 o all'inizio del 1395, ma completamente riscritto anzi «inventato», per così dire (cfr. D. Cecchetti, «Petrarca, Pietramala e Clamages», Paris 1982, p. 18 et passim), dopo il 1420.
    Clamanges controbattendo sdegnosamente alla frase incriminata di Petrarca, traccerà una breve storia della cultura di area gallo-francese, dall'antichità classica al XII secolo, per vantarne l'assoluta preminenza su qualsiasi altra tradizione nazionale».
    La lezione umanistica di Galeotto progettava dunque un devoto omaggio alla genialità di Francesco Petrarca che non poteva non incontrare l'opposizione più accesa dei suoi amici in Avignone, per una serie di significativi motivi.
    Anzitutto, come sottolinea J. Huizinga [«Autunno del Medioevo», Firenze 1987, p. 449] il preumanesimo di illustri esponenti di quel circolo avignonese come Montreuil e Col, è legato all'erudizione scolastica medievale. Poi c'è l'aspetto biografico di Petrarca che non poteva essere proposto in quella corte, da lui accusata di corruzione nei cosiddetti «Sonetti babilonesi» (136, 137, 138), come nelle lettere «Sine nomine» e nelle Egloghe sesta «Pastorum pathos» («Le cure pastorali») e settima «Grex infectus et suffectus» («Il gregge infetto») [cfr. E. H. Wilkins, «Vita del Petrarca», Milano 2003, p. 78].
    Nell'epistola XVIII (penultima) delle «Sine nomine», si parla di vecchi e lascivi bambocci che bruciano nella libidine, precipitando in ogni vergogna, per tacere degli stupri, dei rapimenti, degli incesti, degli adulterii, «che rappresentano ormai il divertimento della lascivia papale» [«qui iam pontificalis lascivie ludi sunt»]» [«Sine nomine, Lettere polemiche e politiche», a cura di U. Dotti, Roma-Bari 1974, pp. 206-210].
    Ci sono donne rapite, «violate e ingravidate da seme altrui», poi riofferte dopo il parto «all'alterna sazietà di chi le usa a suo godimento», mentre i loro mariti sono costretti a riprendersi le loro mogli «per rioffrirle di nuovo, dopo il parto, all'alterna sazietà di chi le usa a suo godimento».
    Sulle «pagine densissime» delle «Sine nomine», leggiamo in Ezio Raimondi [«Un esercizio satirico ad Avignone» (1956), «I sentieri del lettore», a c. di A. Battistini, I, Bologna 1994] che esse «sorgono dalla sofferenza e dalla protesta del cristiano offeso» [p. 133].
    La lezione petrarchesca, ha scritto Loredana Chines, «lascia alle generazioni successive degli umanisti il senso di un dialogo continuo e proficuo tra un passato da riscoprire e un presente da risanare» [«L'umanesimo: caratteri generali», pp. 428-440, «Il Medioevo», XI, Milano 2009, p. 428].
    È la lezione che influenza anche Galeotto, al punto di attirargli l'accusa di non essere un buon cattolico a causa delle sue amicizie culturali, come si legge in Jean de Launoy (1603-1678), fecondo ed erudito autore francese [«Opera omnia, Opusculis ineditis...», IV, 2, Fabri, Barrillot, Bousquet, Ginevra, 1732, p. 62].


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