• Bibliografia

    NOTE BIBLIOGRAFICHE GENERALI
    R. Brun, «Annales avignonnaises de 1382 à 1410 extraites des archives de Datini, dans Mémoires de l'Institut historique de Provence.
    R. Brun, «Annales avignonnaises de 1382 à 1410, extraites des archives de Datini», «Mémoires de l'Institut historique de Provence», 12 , Marsiglia 1935.
    H. Gilles, «La vie et les œuvres de Gilles Bellemère», Bibliotheque de L'Ecole des Chartes, CXXIV, Paris 1966. (Alle pp. 117-118, si richiama un documento, il G 449, n° 1, custodito presso «Archives départementales de Vaucluse et de Haute-Loire», e si cita da M. Mielly, «Trois fiefs de Vévêché d'Avignon: Noves, Agel et Verquîères des origines à 1481, Uzès, 1942, p. 260-261.)
    A. Bartocci, «Il cardinale Bonifacio Ammannati legista avignonese ed un suo opuscolo contra Bartolum sulla capacità successoria dei Frati Minori», «Rivista internazionale di Diritto Comune», 17, Roma 2006, pp. 251-297, p. 267.
    Sul ruolo culturale di Amedeo di Saluzzo, cfr. P. Rosso, «Cultura e devozione fra Piemonte e Provenza. Il testamento del cardinale Amedeo di Saluzzo (1362-1419)», Cuneo 2007,
    «Le spoglie del Tarlati furono successivamente traslate nella cappella di San Pietro d'Alcantara, anche detta del Cardinale, posta sopra l'originaria 'cella del faggio', odierna cappella della Maddalena», si legge in nota ad un saggio di M. Mussolin, «Deserti e crudi sassi: mito, vita religiosa e architetture alla Verna dalle origini al primo Quattrocento» pp. 117-136, in «Altro monte non ha più santo il mondo», a cura di N. Baldini, Firenze 2012, p. 125, nota 19.
    In F. Gonzaga, «De origine Seraphicae religionis Franciscanae eiusque progressibus», ex typographia Dominici Basae, Roma 1587, p. 235, si legge che le ceneri dell'illustrissimo Cardinale Galeotto furono poste in una cappella voluta da Caterina da Pietramala, consorte di Roberto, all'inizio del XIV sec., nel luogo dove era stata la prima cella di san Francesco: «Id sacellum, quod passim Cardinalis Cardinalis dicitur, fuit prima beati Francisci cellula».
    Che Roberto sia il nonno di Galeotto è attestato da un documento che si legge in L. Tonini, «Rimini nella Signoria de' Malatesti», Albertini, Rimini 1880, IV, 2, p. 173, e richiamato in IV, 1, p. 260.
    Su Roberto da Pietramala, cfr. sub 1347 in «Cronache Malatestiane dei secoli XIV e XV», tomo XV, 2 delle «Rerum Italicarum Scriptores», a cura di A. F. Massèra, Bologna 1922, p. 16.
    La cappella fu dedicata a Santa Maria Maddalena, come scrive padre Francesco da Menabbio nel «Compendio delle maraviglie del sacro monte della Verna», Ad istanza di Niccolò Taglini, Venezia 1694, p. 25. Esistono altre edizioni del volume, «in Fiorenza, per Pietro Nesti al Sole», 1636, e quella veneziana del 1782, in cui alle pp. 38-39 troviamo: «Dicesi ancora la Cappella del Cardinale, perché in essa riposano l'ossa dell'Eminentissimo Galeotto degl'Ubertini d'Arezzo, Conte di Pietra Mala, e Cardinale di S. Chiesa, il quale morì in Avignone nel tempo dello Scisma, che accadde sotto Urbano VI e le sue ossa furono quassù portate, e sepolte in detta Cappella conforme egli aveva ordinato, per la singolare divozione, che portava a S. Francesco». Il passo con «Galeotto degl'Ubertini» suggerisce, ci sembra ovviamente, il cognome della nonna Caterina.
    (Questo stesso testo è nell'edizione fiorentina, presso la Stamperia granducale, 1856, pp. 29-30.)
    Della cappella voluta da Roberto da Pietramala e da sua moglie Caterina, si parla pure in B. Mazzara, «Leggendario francescano», III, Poletti, Venezia 1689, p. 70. Cfr. pure G. Rondinelli, «Relazione sopra lo stato antico e moderno della città d'Arezzo ecc.», Bellotti, Arezzo 1755, p. 48.
    Circa il 1386, in L. Maimbourg, «Histoire du grand schisme d'Occident», Mabre-Cramoisy, Parigi 1686, p. 218, si parla di Urbano VI e dell'uccisione dei sei cardinali: qualunque sia stato di modo di farli morire, diversi secondo le fonti, resta il fatto che questa serie di omicidi «est assez conforme à son humeur, plûtost cruelle que severe, qui le rendit extrêmement odieux à ceux- mêmes qui étoient ses plus affidez. En effet, deux des Cardinaux qui l'avoient le mieux servi, Piles de Prate Arcivêque de Ravenne, & Galeot Tarlat de Pietra-mala, redoutant cét esprit vindicativ, s'allerent rendre au Pape Clement, qui les mit au nombre de ses Cardinaux».

    Sull'intervento di Giovanni d'Armagnac, cfr. A. Antonielli - F. Novati. «Un frammento di zibaldone cancelleresco lombardo del primissimo Quattrocento. Testo ed illustrazioni storico-critiche ai documenti contenuti nel Frammento Pallanzese», Archivio Storico Lombardo, 1913, Serie IV, vol. 20, fasc. 40, pp. 304-305.
    Giovanni d'Armagnac stipula il 16 ottobre 1390 a Mende un trattato con la repubblica toscana. Il 26 luglio 1391 il suo esercito è "tagliato a pezzi dalle truppe viscontee".
    Circa Giovanni d'Armagnac, ricordiamo che era il fratello di Beatrice d'Armagnac, detta «la gaie Armagnageoise», moglie di Carlo Visconti dal 1382. L'anno prima Beatrice era rimasta vedova di Gaston de Bearn o de Foix, nato nel 1365.
    «Stimolarono i Fiorentini il re di Francia, e non si sa con quai mezzi l'indussero, malgrado gli stretti vincoli del sangue, a spedire per la Savoia un corpo di diecimila Francesi, comandati dal conte d'Armagnac. Sebbene il duca di Savoia fosse pure stretto parente del conte, che era figlio di Bianca di Savoia, pure lasciò libero il passo a queste truppe. Il comandante conte d'Armagnac era parente stretto di Carlo Visconti, figlio di Barnabò, che viveva miseramente ramingo colla sua moglie Beatrice d'Armagnac.» [P. Verri, «Storia di Milano», I, Marelli, Milano 1783, p. 412]

    In margine alla prima lettera, laddove Galeotto accusa quel sistema che genera la ricchezza della nuova società fiorentina («Illa, illa urbs petenda est, unde pecuniarum auxilia prodeunt, unde erumpunt fraudes...»), si può osservare che nel nostro Cardinale agiscono non soltanto gli istinti legittimi della difesa di interessi famigliari, ma incontriamo pure una ben precisa visione politica, tipica della gerarchia ecclesiastica, non basata sul valore del censo economico "conquistato" e non ereditato, ma fondata su quello che scaturisce dall'esercizio del potere e delle armi che lo sorreggono.
    Già i Comuni avevano spogliato i Vescovi della giurisdizione politica sulle città. La posizione di Galeotto è quindi una significativa immagine dello scontro ideologico, si direbbe oggi, che agita il suo tempo.

    Tra le genti d'arme assoldate nel 1388 c'è un Giantedesco da Pietramala, figlio di Marco, considerato valorosissimo, e celebrato capitano di ventura, poi onorato da una statua equestre di Giacomo della Quercia nel Duomo di Siena.

    «Ebbe tre figli illegittimi», conclude la nota biografica del Cardinal Galeotto di Pietramala che illustra la genealogia del nostro personaggio nel cit. volume di Ubaldo Pasqui (p. 394).
    Si tratta di una notizia falsa. Questi tre figli «naturali» sono fratelli di Marco, figlio di un altro Galeotto Tarlati, cit. appunto a p. 58 del suo stesso lavoro, nel terzo volume dove appare la falsa genealogia. Un Galeotto che è anteriore al nostro cardinale, e che fu signore di San Niccola e di Soci, come leggiamo a p. 375 (cap. 6) della «Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo», di J. C. L. Sismondo Sismondi, I, Storm-Armiens, Lugano 1838 (cfr. anche p. 413, tomo VI, dell'ed. italiana 1818, s.l.).
    I nomi di questi tre inesistenti figli illegittimi del Cardinale sono riportati nella genealogia dello stesso, di p. 390: Tommaso, Betto, Guido.
    Tra parentesi.
    Tommaso rimanda al nonno del Cardinale, detto Masio o Magio.
    Betto, ovvero Benedetto, richiama Benedetto Sinigardi (1190-1282), figlio di una Elisabetta Tarlati, compagno di San Francesco e poi proclamato beato. Da ricordare pure che si rinnova anche un nome celebre nella storia della letteratura, perché ad un Tommaso di Pietramala, Cino da Pistoia indirizzò la canzone Lo gran disio che mi stringe cotanto, chiedone la sua protezione in qualità di capitano del popolo della sua città. Siamo nel 1303. Il testo della parte della canzone di Cino da Pistoia che ci interessa, è il seguente: «Canzone, vanne così chiusa chiusa / entro 'n Pistoia, a quel di Pietramala, / e giungi da quell'ala, / da la qual sai che 'l nostro segnor usa; / poi dì, se v'è 'l diritto segno, in agio: / "Guardami, come déi, da cor malvagio"».
    Sull'argomento, cfr. M. Barbi, «Studi danteschi», V, 1922, p. 120; S. Ferrara, «La poésie politique de Cino da Pistoia», in «La poésie politique dans l'Italie médieval», a cura di A. Fontes Baratto, M. Marietti, C. Perrus, Parigi 2005, pp. 215-256, p. 232.
    Infine Guido ricorda il Vescovo Guido Tarlati, Signore di Arezzo dal 14 aprile 1321 alla morte, avvenuta il 21 ottobre 1327.

    Nota bibliografica, su altri volumi consultati:
    L. Mayeul Chaudon, «Nuovo dizionario istorico», XXVI, Morelli, Napoli 1794
    F.-Z. Collombet, «Histoire de la Sainte Église de Vienne», II, Lecoffre, Parigi 1847
    Bernardo da Decimo, Secoli serafici, Viviani, Firenze 1757, pp. 68-69
    Su Petrarca, cfr. pure J. Spicka, «La sentina dei vizi: poetica e motivi del Liber sine nomine di Petrarca», «Critica letteraria», 146, a. 38, fasc. 1, Napoli 2010, pp. 3-20.
    Per Onofrio Panvinio, si veda in «Dizionario Biografico degli Italiani», 81 (2014), la voce redatta da Stefan Bauer.


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