• Nel 1453 prende forma il Tempio riminese con le pareti esterne secondo il disegno di Leon Battista Alberti. Due anni prima Piero della Francesca ha firmato l'affresco nella cella delle Reliquie, ed il primo maggio 1452 è stata consacrata la cappella di san Sigismondo re di Borgogna, la cui statua è opera di Agostino di Duccio.
    Nell'affresco Sigismondo fa celebrare il proprio protettore con le fattezze dell'omonimo imperatore (1368-1437) il quale nel 1433 era stato incoronato a Roma ed aveva visitato Rimini, concedendo il 3 settembre la sua investitura allo stesso Sigismondo ed al fratello Malatesta Novello.
    Nel 1453 la caduta di Costantinopoli provoca forte tensione internazionale. Papa Niccolò V parla dell'avvento della bestia dell'Apocalisse, avanguardia dell'Anticristo. Il 24 novembre 1450 a Fabriano Niccolò V ha mandato al rogo tre "Fraticelli" di una congrega francescana. Nel 1453 fa impiccare Stefano Porcari, amico di dotti umanisti, per il suo tentativo di abbattere il potere temporale.
    La conquista di Costantinopoli provoca sgomento. Il vescovo di Siena Enea Silvio Piccolomini (futuro Pio II, e grande avversario di Sigismondo) scrive a Niccolò V: "mi vergogno di vivere, almeno fossi morto". Niccolò V si converte allo spirito di crociata contro i turchi. Il 18 aprile 1454 Venezia stipula un accordo con Maometto II.
    Nel 1461 Maometto chiede al signore di Rimini il favore d'inviargli Matteo de' Pasti per farsi ritrarre. Matteo si trovava a Rimini dal 1446, per lavorare all'interno del Tempio. Sigismondo accetta ed invia a Maometto II tramite Matteo una lettera in latino composta da Roberto Valturio, il suo "più dotto e benemerito segretario".
    La missione di Matteo de' Pasti non va in porto. Nel novembre 1461 è catturato in Candia e condotto a Venezia dove lo processano, riconoscendolo innocente e liberandolo.
    Da Venezia si diffonde tramite la corte milanese la falsa notizia che Sigismondo aveva cercato di contattare Maometto per esortarlo a venire a combattere in Italia. Il nuovo papa Pio II che stava allora esaminando la "posizione" di Sigismondo (sarà scomunicato il 27 aprile 1462), è dello stesso parere.
    Secondo G. Soranzo (1909), l'accusa rivolta al nostro principe era "insussistente". Tuttavia essa circolò da Milano sino a Napoli per denigrare Sigismondo come nemico della Religione, dello Stato della Chiesa, delle signorie e dell'Italia tutta. Insomma, lo presentavano come "terrorista" al soldo del Turco.

    5.a. Documenti. Il contesto nazionale ed internazionale [2005]


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  • Sigismondo

     

     

     

     

     

     

     

     

    Nel 1397 lo zio Carlo Malatesti ha dato scandalo con la rimozione della statua di Virgilio a Mantova gettata nel Mincio, per segnalarsi al potere ecclesiastico e garantirsi quella carriera che lo porta il 4 luglio 1415 al Concilio di Costanza, dove legge la bolla di rinuncia di papa Gregorio XII (scritta a Rimini il 13 marzo), al fianco dell'imperatore Sigismondo.
    Coluccio Salutati accusa Carlo di aver compiuto un gesto oltraggioso verso la poesia. Poggio Bracciolini descrive Carlo come "deditissimo agli studj della letteratura e vago oltremodo di ragionare con dotti uomini ed ingegnosi". Per quegli studi diventa celebre pure il cardinal Galeotto, in stretti rapporti con l'ambiente umanistico di Parigi.
    Al Virgilio gettato nel fiume (perché oggetto di un culto superstizioso, secondo F. Foschi [2001]), si contrappone con Galeotto la ricerca di una nuova prospettiva filosofica, la "comunione degli uomini nel mondo umano" (E. Garin, 1949). Sigismondo accetta questa visione progettando con Alberti nel Tempio riminese la Cappella delle Arti liberali: qui la cultura è letta come itinerario per realizzare la "città giusta".
    Dietro al sogno umanistico, ci sono le fiamme "conciliari" di Costanza, con la messa a morte in nome della Croce, di Giovanni Huss (1415) e Girolamo da Praga (1416). E davanti, quelle che bruciano Savonarola a Roma (1498).
    Le Arti liberali spiegano: la Natura ispira l'Educazione che opera attraverso la Filosofia. Si studiano Letteratura, Storia, Retorica, Metafisica (o Teologia), Fisica, Musica. La Natura si conosce attraverso Geografia, Astronomia, Logica, Matematica, Mitologia e Botanica. La Cultura (raffigurata come Concordia, Città giusta e Scuola) educa ad una vita tra cittadini uguali e quindi liberi, secondo l'"umanesimo civile" di Leonardo Bruni. Lo studio delle "humanae litterae" per Poggio Bracciolini ha un valore formativo umano e civile: i classici sono maestri di virtù civili come sostenuto da Coluccio Salutati.
    La Concordia riguarda pure l'Unione fra le due Chiese (proclamata il 6.7.1439 ma di breve durata). Per quella unione i Malatesti hanno svolto un grande ruolo in nome della Chiesa. Nella tavola della Concordia si raffigura un'unione matrimoniale: la donna potrebbe essere Cleofe (di Malatesta I, detto "dei Sonetti" di Pesaro e di Elisabetta da Varano), scelta dal papa come sposa (1421) di Teodoro, figlio dell'imperatore di Costantinopoli, e poi finita uccisa (1433), lasciando una figlia, Elena (nata tra 1427 e 1428), che sposa il re di Cipro.


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  • Documenti. Una lettera del 2015
    Memoria cancellata del Cardinale "malatestiano"

    Le pochissime notizie su Galeotto Tarlati di Pietramala (1356-1398), Cardinale "malatestiano" (per via della madre, la riminese Rengarda), giunte sino a noi attraverso Luigi Tonini, non raccontano nulla del personaggio ma lasciano intravedere tanto sulla sua rimozione dalla memoria storica.
    Galeotto, nominato a 22 anni nel 1378, passa attraverso momenti drammatici della vita della Chiesa, quando Papa Urbano VI fa uccidere un Vescovo (1385) e cinque Cardinali (1386), preparando quel clima di intolleranza che sfocia nei roghi "conciliari" di Costanza per ammazzare Giovanni Huss (1415) e Girolamo da Praga (1416).
    Galeotto di Pietramala, dotto umanista, fu coraggioso uomo di Chiesa, capace di proporre nel 1395, con una celebre lettera, la via di risoluzione dei contrasti tra Roma ed Avignone, facendo dimettere il Pontefice di quest'ultima città dove lui stesso si era rifugiato. In tutt'Europa egli diventa una figura rispettata per la sua capacità di studiare e dibattere temi culturali e questioni teologiche, come documentano numerosi volumi.
    Consono allo spirito di Galeotto da Pietramala (morto a Vienne nel Delfinato, e poi sepolto alla Verna) , è il Tempio di Sigismondo Pandolfo, suo cugino, dove si realizzano i progetti albertiani di un "umanesimo civile", che si leggono nella Cappella delle Arti liberali, il cui scopo principale è educare alla "polis", creando Concordia tra i cittadini, ai quali tocca di costruire la "Città giusta" con leggi per formare persone moralmente integre. Non è soltanto l'antica lezione platonica, ma pure quella che a Bologna, in quell'Università attorno al 1430, delinea Lapo di Castiglionchio, come Ezio Raimondi scriveva nel 1956.
    Antonio Montanari

    Il cardinal Galeotto, memoria cancellata


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  • Sigismondo

     

     

     

     

     

     

     

     

    Sigismondo non ebbe infanzia, scrive Charles Yriarte (1832-1898) in un celebre saggio, "Un condottière au XVe siècle" (Parigi 1882), richiamando l'episodio del 1430 quando il Nostro (per difendere il territorio governato da Galeotto Roberto, figlio di suo padre Pandolfo III e di Allegra de' Mori), "rivestì l'armatura fatta a sua taglia, montò a cavallo, e fu un vero combattente" battendo le truppe papali.
    Come tutti i nati da re, principi o duchi, Sigismondo eredita oltre ai beni materiali anche quelli intellettuali e "politici" della famiglia e del tempo. Allora c'era uno spirito di perenne competizione, derivante dalla crisi dell'Italia frammentata per la carenza di una forza capace di guidare un processo unitario per potenza finanziaria, economica e militare (F. Gaeta, 2012).

    Yriarte parla di una disperazione diffusa. Sono tempi di anarchia profonda, generati da una lunga e persistente confusione tra urbanizzazione nascente e barbarie passata. Trionfa un individualismo che provoca un'estrema licenza da cui nasce l'estrema tirannia. "Le signorie esercitavarono un'azione politicamente diseducativa a tutti i livelli, anche se promossero le arti e la letteratura al servizio della corte" (G. Fasoli, 1975).
    I capi delle Signorie dovevano fare i conti pure con le competenze comunali per magistrature ed uffici, e con la nascente struttura democratica (B. Andreolli, 1999), anche se prevale la scelta di "funzionari eletti dal signore tra i suoi fedeli" (Fasoli).
    Venti di rivolta soffiano nella vita religiosa e politica. La repressione è terribile. Sigismondo ha un cugino cardinale, Galeotto, nato da Rengarda, sorella di suo padre, e da Masio Tarlati. Nominato a 22 anni nel 1378 su suggerimento del nonno Galeotto I, nel 1386 Galeotto, quando il Papa Urbano VI fa uccidere cinque cardinali (dopo aver ammazzato l'anno prima il vescovo dell'Aquila), fugge in quell'Avignone da Petrarca definita luogo di corruzione, in cui Satana sedeva "arbitro tre le ragazze e quei vecchi decrepiti". Vi resta sino al 1397 quando scappa perché privato dei suoi redditi, recandosi prima a Valence e poi a Vienne, dove muore l'8 febbraio 1398.
    L'attacco a Galeotto nell'ambiente avignonese va di pari passo all'ascesa politica dei Malatesti nel mondo pontificio romano: nel 1397 Pandolfo III è nominato comandante supremo delle armi della Chiesa.
    Sigismondo conosce queste vicende, sa che i suoi antenati nella Chiesa sono stati forti ed ascoltati mediatori politici.


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  • Sigismondo

     

     

     

     

     

     

     

     

    Brescia, ottobre 1418: papa Martino V (Oddone Colonna) arriva presso Pandolfo III Malatesti signore della città. Rientra da Costanza dove è stato eletto l'8 novembre 1417 e dove il 22 aprile ha chiuso il concilio che ha posto fine allo scisma occidentale. Martino V conosce bene i Malatesti. Sua nipote Vittoria Colonna nel 1416 ha sposato Carlo, figlio del signore di Pesaro, Malatesta I. Li apprezza per quello che hanno fatto prima e durante il concilio di Costanza. Ai cui lavori è intervenuto un altro Carlo Malatesti (1368-1429), signore di Rimini e rettore vicario della Romagna dal 1385, come procuratore speciale di Gregorio XII "ad sacram unionem perficendam". Sua moglie è Elisabetta Gonzaga, donna colta e coraggiosa (1363-1432).
    Il 24 febbraio 1421 finisce a Brescia la signoria dei Malatesti: Pandolfo III manda a Rimini Sigismondo (nato il 19.6.1417) e Novello (6.4.1418), avuti da Antonia da Barignano. È proprio Elisabetta che a Rimini si prende cura della loro educazione. Pandolfo III muore a 57 anni il 4 ottobre 1427, durante un pellegrinaggio a piedi da Rimini a Loreto. Invocava un po' di salute, dopo le fresche nozze (12 giugno) con una fanciulla, Margherita Anna dei conti Guidi di Poppi.
    Defunto Carlo di Rimini (14.9.1429), il ruolo di Elisabetta nella vita di Sigismondo e Novello diventa ancor più fondamentale. Carlo nel 1428 li ha fatti legittimare da Martino V, assieme al loro fratellastro Galeotto Roberto (1411-1432), nato da Allegra dei Mori. Nello stesso 1428 Galeotto ha sposato Margherita d'Este, figlia di Nicolò III signore di Ferrara.
    Elisabetta Gonzaga riversa su Galeotto Roberto, Sigismondo e Novello i frutti di una formazione intellettuale e politica di stampo umanistico, maturata nella famiglia d'origine e presso la corte riminese. Sa che la vita non è frutto del caso, ma dell'operare individuale, secondo il pensiero di Leonardo Bruni: il perfezionamento delle persone avviene "ex civili societate", sotto la guida della filosofia.
    Bruni nel 1409 era giunto presso Carlo Malatesti, quale segretario pontificio per incontrare papa Gregorio XII ospite del signore di Rimini. Nel "De studiis et litteris" (1422-25), Bruni progetta l'incontro fra la tradizione cristiana e la filosofia greco-romana, con un modello seguìto da Sigismondo nell'ideare il suo tempio.
    Di Antonia, trasferitasi in Romagna con quattro fratelli, immaginiamo una silenziosa presenza accanto ai figli sino alla scomparsa di Elisabetta Gonzaga (1432).

    NOTA. La data della nascita di Elisabetta Gonzaga, si ricava da un documento del 1376, in cui si dice che Elisabetta fu emanicipata dal padre quando aveva 13 anni.
    Si veda il proposito il saggio di A. Bellù, «Carlo Malatesti alla corte dei Gonzaga nei documenti d’Archivio 1369-1429», Atti delle Giornate di Studi malatestiani a Mantova, Ghigi, Rimini 1990, p. 6.
    Le nozze tra Elisabetta Gonzaga e Carlo Malatesti sono del novembre 1386.


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